Attività dei campi, dei pascoli e dei boschi nella tradizione
L’agricoltura
L’agricoltura era il pilastro su cui si reggeva l’economia della comunità, era l’attività di almeno il 95% della popolazione, con punte che si avvicinavano al 100% delle comunità minori. Per il suo rilievo essenziale l’attività agricola fu ovunque regolamentata in modo minuzioso e ferreo.
Le proprietà erano suddivise in beni collettivi di proprietà delle comunità e goduti gratuitamente da tutti e beni “divisi”, di proprietà privata. Quelli collettivi erano in genere i pascoli e buona parte dei boschi. Spesso poi le comunità erano proprietarie di altri beni (campi, vigne) che venivano in genere coltivati da privati in affitto.
Il godimento dei campi era così misto: privato quanto alla parte falciabile, pubblico quanto al pascolo.
L’allevamento
L’allevamento era una componente dell’attività agricola e dell’economia di pressoché tutte le famiglie.
Si allevavano animali da cortile, ma soprattutto mucche, cavalli, pecore, capre e maiali. Allevare il maiale costituiva un mezzo per sfruttare gli scarsi residui organici delle famiglie ricavandone un po’ di carne, ma soprattutto di grassi. D’estate i maiali erano spessi portati in montagna, seguendo gli spostamenti delle famiglie; d’inverno avveniva l’uccisione, che rappresentava una vera e propria festa, anche se cruenta, con corale partecipazione di tutti i membri della famiglia.
Il latte e i latticini completavano l’alimentazione, che si basava su farina ricavata dai grani, scarse verdure, castagne, scarsissima carne e il poco grasso del maiale.
Le necessità di latticini era soddisfatta dall’allevamento di capre e pecore da parte dei meno abbienti e di mucche da parte di chi aveva più possibilità economiche. Il numero degli animali da allevare dipendeva da quanti se ne sarebbero potuti sfamare durante l’inverno; questa regola era presente ovunque e fatta rispettare, in quanto la rottura di tale equilibrio avrebbe provocato tensioni sociali. Per quanto riguarda l’alpeggio varie erano le disposizioni delle diverse comunità. In alcuni casi era una precisa regolamentazione con direzione comunitaria: venivano designati precisamente i caricatori delle alpi incaricati di raccogliere tutto il bestiame per l’alpeggio e di restituirlo ai proprietari, alla discesa dai monti, assieme ad una quantità prestabilita di prodotto. In altri casi erano messe all’incanto le alpi: il miglior offerente aveva cioè il diritto di utilizzarle “privatamente”; altre volte erano ammessi sistemi misti. Unico dato comune è che tutto il bestiame da latte e tutto il bestiame non necessario per i lavori agricoli dovesse, l’estate, esser portato in monte. Altrettanto varia era la regolamentazione della salita sui maggenghi. Nei casi più frequenti il maggengo costituiva una tappa primaverile ed autunnale della monticazione, assai spesso regolamentata come l’alpeggio, ma solitamente con vincoli meno rigidi per quanto riguardava l’obbligo della salita. In alcuni casi poi gli alpeggi erano riservati al bestiame da latte, mentre i vitelli ed il bestiame non da latte erano tenuti, insieme ad una vacca da latte per la necessità della famiglia, sui prati e boschi di mezza montagna, da giugno a settembre. Frequente era la separazione tra il bestiame grosso e quello minuto: alcuni alpeggi erano cioè riservati ai bovini, altri alle capre e pecore; i cavalli stavano poi quasi sempre isolati. In sintesi, la disciplina tipica prevedeva che in inverno gli animali fossero stabulati a fondovalle e potessero pascolare nei prati di fondovalle e nei castagneti; in primavera il bestiame era portato sui maggenghi e fatto pascolare nelle zone boschive annesse, in estate si alpeggiava e in autunno le bestie venivano portate sui maggenghi e poi a fondovalle.
La fienagione
Sull’alpe, dato il periodo, la necessità di avere fieno era del tutto eccezionale perché bastava il poco fieno che si ricavava dalle limitate zone recintate e concimate, i “grassi”, annessi agli edifici in muratura (le “malghe”), o agli spazi all’aperto (i “barenghi” o “barech”) in cui passava la notte il bestiame alpeggiato. Sui maggenghi esisteva invece una zona a prato stabile, sempre concimato e spesso irrigato, dal quale si ricavava il fieno necessario. Altro fieno si ricavava dai prati del fondovalle che erano "protetti" nel periodo estivo e che potevano pertanto essere falciati.
I boschi
I boschi erano in genere di proprietà collettiva e ne esistevano di due tipi: quelli liberi e quelli protetti. Nei primi tutti i componenti della comunità avevano il diritto di far legna. La legna poteva in ogni caso essere raccolta solo quando era secca e da bruciare. Ben diverso era il rigore delle norme relativi ai boschi protetti, in genere quelli posti in zone pericolose o a protezione degli abitanti.
I campi, gli orti e i frutteti
Le colture più diffuse erano i grani sia autunnali che primaverili che estivi. Oltre al frumento si coltivava la segale e il grano saraceno. Diffusa pure la coltura dell’orzo e della domega (specie di orzo). Nei campi venivano spesso coltivati gli ortaggi: essenzialmente zucche e rape di ogni tipo, verze e fagioli. Attrezzo principe era la zappa, specie nelle zone di montagna; solo i contadini più ricchi possedevano l’aratro.